Contro l’aborto

(ovvero contro la posizione favorevole di alcune Chiese Evangeliche in merito all’aborto e quella ambigua delle Assemblee di Dio in Italia)

 

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Contro l'aborto

 

 

Introduzione

 

In un comunicato stampa dell’Agenzia di stampa NEV del 3 Gennaio 2008, la signora Letizia Tomassone, vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), ha affermato quanto segue: ‘L'autonomia riproduttiva delle donne è uno dei diritti umani fondamentali. Non si possono obbligare le donne ad avere figli o a portare avanti gravidanze indesiderate … Un figlio, una figlia sono iscritti nel desiderio della madre che disegna con la creatura concepita una relazione densa di significato e di vita. Quando questo non avviene, perché il concepimento è frutto di violenza o di frettolosa superficialità ed errore, la donna deve essere messa in grado di interrompere la gravidanza. Fino a quel momento sono infatti in gioco la responsabilità e la libertà che lei ha sviluppato nella sua vita. Per questo il senso di libertà individuale, che è riconosciuto e considerato oggi in Occidente come il fondamento del diritto civile, fa parte della costruzione della dignità femminile. La donna non è un puro contenitore di vita concepita altrove. E' un soggetto libero che crea relazione con questa vita. Negare che l'interruzione di gravidanza si inserisca in questo processo relazionale significa riportare le donne a un obbligo biologico che non ci appartiene più.’

In un documento dal titolo Bioetica: ricerca e orientamenti, apparso sulla rivista evangelica Prote­stantesimo si legge quanto segue: ‘L’aborto è certamente da valutare come fatto negativo, poiché consiste nella soppressione di un essere vivente, per quanto non ancora sviluppato, né ovviamente – autonomo. Tuttavia non lo si può semplicemente condannare, in base al principio di difesa della vita: esiste tutto un contesto in cui il fenomeno si situa. C’è una donna, essere vivente già nato e svilup­pato, che alleva nel suo corpo l’embrione: della sua presenza insostituibile bisogna tener conto. C’è poi il contesto familiare in cui il bambino nascerebbe e ci sono eventuali malattie e malformazioni. Alcuni sostengono che è meglio nascere comunque che non nascere affatto: considerando questa affermazione come non convincente, poiché non sufficientemente dimostrata, preferiamo insistere sulla difesa dei diritti di tutti i personaggi coinvolti, senza privilegiarne a priori qualcuno. Consideriamo valido il principio di autodeterminazione della donna ed annettiamo importanza alla globale complessiva riduzione del costo umano che veniva pagato nel tempo in cui la pratica non era ancora legalizzata nel nostro paese’ (Protestantesimo, 50, anno 1995, pag. 307). Quindi, nella sostanza, l’aborto è permesso in alcuni casi, perché la donna viene lasciata libera di scegliere.

Nel libro I Protestanti e l’aborto scritto da A. Berlendis è trascritto un ordine del giorno approvato dal Sinodo Valdese e dalla Conferenza metodista riunitisi a Torre Pellice (Torino) dal 30 luglio al 4 agosto 1978, in cui tra le altre cose si leggono queste parole: ‘E poiché consideriamo inammissibile l’interferenza di un’autorità esterna rispetto alla coscienza singola, non riteniamo giustificabile una chiusura dei nostri ospedali alla attuazione della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, perché ciò equivarrebbe ad un sostituirsi autoritariamente alla decisione della donna e della coppia che dev’essere libera e responsabile. Al contrario, riteniamo che al posto di tale posizione autoritaria, come credenti dobbiamo attuare il comandamento del ‘portare i pesi gli uni degli altri’ (Galati 6:2), sviluppando concrete iniziative di solidarietà verso la donna, la coppia, la minorenne, i genitori che si trovano a vivere questa angosciosa realtà’ (A. Berlendis, I Protestanti e l’aborto, Torino 1981, pag. 90-91). Dunque i Valdesi e i Metodisti sono anche loro a favore del permettere in alcuni casi alla donna di abortire.

Paolo Ricca, docente emerito di Storia della Chiesa della Facoltà Valdese di Teologia di Roma, in un articolo dal titolo ‘L'embrione, la persona, la fede’ tratto da Riforma del 20 maggio 2005, ha affermato quanto segue: ‘Credere nel Dio creatore significa dunque (il commento di Lutero lo mette chiaramente in luce) ricevere la vita come dono, come invenzione e creazione di Dio e non nostra, come «opera delle sue mani». Come le mani di un'esperta tessitrice compongono la trama di un tessuto e lo creano, così le mani di Dio tessono la trama della nostra vita già nel grembo di nostra madre, e poi nel più grande grembo del mondo. Proprio perché la fede crede in questa miracolosa «tessitura» del nostro corpo nel corpo materno, essa è fondamentalmente contraria all'aborto, pur essendo favorevole alla legge che lo legalizza (per combattere la piaga dell'aborto clandestino), pur considerando moralmente lecito l'aborto terapeutico, e pur affermando senza mezzi termini che l'ultima parola, quella decisiva, in materia di aborto, ce l'ha la donna.’

Piero Suman, pastore battista,  in una intervista rilasciata al giornalista Marco Castoro sul quotidiano Il Tempo ha detto quanto segue: ‘Ovviamente crediamo sia meglio non abortire, anche se sull’argomento non bisogna mai generalizzare. La chiesa deve accompagnare nelle scelte, ma non può prendere decisioni per gli altri. La gente deve ragionare con la propria testa’ (‘Il canto libero dei Battisti’ in Il Tempo, 10 Marzo 1995). Dunque il ‘non bisogna mai generalizzare’ sta a significare che in alcuni casi abortire è lecito ossia è meglio abortire che non abortire. Billy Graham, famoso evangelista americano (1918- ….), anche lui Battista come il Suman, nel suo libro The Billy Graham Christian Worker’s Handbook (l’edizione del 1997) si è espresso anche lui a favore dell’aborto, ossia dell’interruzione volontaria della gravidanza. Ecco le sue parole: ‘Noi dovremmo accettare l’aborto in tre casi: in caso di violenza carnale, di incesto, e nel caso il parto del bambino costituisce una minaccia alla vita della madre’ (The Billy Graham Christian Worker’s Handbook, pag. 19).

 

 

Confutazione

 

L’aborto non è mai lecito o legittimo, neppure quando una donna è stata stuprata o ha commesso incesto, perché l’aborto è un omicidio agli occhi di Dio. Non ha forse detto Iddio: “Non uccidere” (Esodo 20:13)? Perché dunque dovrebbe l’aborto, che è l’uccisione di un essere umano, essere considerato legittimo in certi casi?

Qualcuno forse mi chiederà: ‘Perché chiami l’embrione (il prodotto del concepimento nelle prime otto settimane a partire dal concepimento) e il feto (il prodotto del concepimento dopo otto settimane dal concepimento) un essere umano?’ Perché sia l’embrione che il feto sono un essere umano, in quanto secondo la Sacra Scrittura la vita umana inizia al concepimento; per cui nel momento in cui il seme maschile si unisce all’ovulo femminile, ha inizio una nuova vita umana. Ogni donna incinta ha un bambino nel suo seno, non importa da quanto tempo sia incinta, il suo seno contiene un essere umano che nessuno – tranne Dio – ha il diritto di mettere a morte. Dio diede il seguente comandamento agli Israeliti, che rende chiaro che agli occhi di Dio il prodotto del concepimento è un bambino o una vita umana, non importa da quanto tempo sia nel seno della donna: “Se alcuni vengono a rissa e percuotono una donna incinta sì ch’ella si sgravi, ma senza che ne segua altro danno, il percotitore sarà condannato all’ammenda che il marito della donna gl’imporrà; e la pagherà come determineranno i giudici; ma se ne segue danno, darai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione” (Esodo 21:22-25). Notate come l’uomo che colpiva la donna incinta doveva essere punito sia che la donna si sgravava senza che ne seguiva alcun danno, sia nel caso ne seguiva danno. Ma mentre nel primo caso la punizione consisteva in un’ammenda che il marito della donna gli avrebbe imposto, nel secondo caso la punizione consisteva nella morte del percotitore se il bambino nasceva morto. ‘Vita per vita’ diceva la legge. Ora notate pure come la legge chiama il prodotto del concepimento, che è nel seno della donna incinta, ‘vita’, non importa da quanto tempo si trovi nel seno della donna. Questo sta a dimostrare che agli occhi di Dio ogni donna incinta ha una vita umana nel suo seno, e che la vita è sacra. In altre parole, sia che la donna sia incinta da due settimane o tre mesi o otto mesi, quella ‘cosa’ che è nel suo seno è una vita umana che deve essere considerata un bambino ed ha gli stessi diritti di tutti gli altri bambini.

Oltre a ciò, va detto che secondo la Sacra Scrittura, è Dio che forma il bambino nel seno della donna, perché Davide disse a Dio: “Poiché sei tu che hai formato le mie reni, che m’hai intessuto nel seno di mia madre. Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo maraviglioso, stupendo. Maravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene. Le mie ossa non t’erano nascoste, quand’io fui formato in occulto e tessuto nelle parti più basse della terra. I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo; e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che m’eran destinati, quando nessun d’essi era sorto ancora.” (Salmo 139:13-16), e Giobbe, quando parlò del suo servo, disse: “Chi fece me nel seno di mia madre non fece anche lui? non ci ha formati nel seno materno uno stesso Iddio?” (Giobbe 31:15) Dunque, abortire significa abortire l’opera che Dio sta compiendo. Volete distruggere l’opera di Dio? Sappia colei che decide di distruggere l’opera delle mani di Dio che Dio non la lascerà impunita perché porterà le conseguenze della sua ribellione contro Dio.

Attenzione dunque fratelli a non lasciarvi sedurre da vani ragionamenti, che annullano la parola di Dio e inducono a disubbidire a Dio.

 

 

 

 

 

La posizione ambigua delle Assemblee di Dio in Italia

 

Francesco Toppi, pastore pentecostale delle ADI, ex-presidente delle ADI, in una intervista rilasciata al giornalista Marco Castoro ed apparsa sul quotidiano Il Tempo ha affermato: ‘Non siamo favorevoli all’interruzione della gravidanza, ma lasciamo sempre la responsabilità alla persona’ (‘Tutte le risposte nell’Evangelo’, in Il Tempo, 3 Marzo 1995).

Ora, le suddette parole, lasciano perplessi, e non solo perplessi, ma anche indignati perché non sono chiare. Che cosa significa infatti ‘ma lasciamo sempre la responsabilità alla persona’? Significa forse che in casi eccezionali una donna suo malgrado può ricorrere all’aborto? Che in certi casi l’aborto dunque non è da condannare? Per altro in Italia l’aborto è legalizzato, per cui c’è una legge che lo difende. A proposito, significa forse che l’aborto che avviene nei termini che la legge italiana prescrive non è da condannare? Ci facciano sapere le ADI, con delle parole chiare che non lasciano spazio a dubbi o malintesi, qual è la loro posizione sull’aborto. Noi vogliamo sentire che l’aborto è un omicidio premeditato volontario in ogni caso, quindi che non ci sono delle eccezioni in cui l’aborto è consentito, per cui lo stato Italiano con la sua legge che permette l’aborto va apertamente contro la legge di Dio. Qui non si tratta di ingerirsi negli affari politici dello Stato Italiano – lungi da noi il fare questo - ma semplicemente di riprovare un’opera infruttuosa delle tenebre, come dice la Parola di Dio di fare, anche quando questa ha il favore dello Stato. Facciamo degli esempi: poniamo il caso che lo Stato Italiano un giorno legalizzi la prostituzione, che faremo come credenti? Staremo zitti? No, ma continueremo a riprovare la prostituzione, anche quella legalizzata e non solo quella clandestina, perché è un’opera della carne condannata dalla Scrittura. Poniamo anche il caso che un giorno lo Stato Italiano approvi una legge con cui riconosce i matrimoni tra omosessuali; che faremo anche in questo caso? Staremo zitti? No, ma continueremo a condannare l’omosessualità anche quella legalizzata dallo Stato. Perché questo? Perché la Bibbia chiama l’omosessualità una passione infame, un peccato contro natura, e coloro che vi si danno non erediteranno il Regno di Dio. A me questo silenzio delle ADI sull’aborto preoccupa moltissimo. So che non viene mai riprovato né sui loro giornali, né nei loro programmi radiofonici, né dai loro pulpiti. Almeno, io non ho mai sentito né letto una chiara e netta riprovazione dell’aborto, e come me tantissimi credenti. Non ho ancora conosciuto un fratello o una sorella delle ADI che a mia domanda mi abbia detto di avere sentito qualche volta parlare contro l’aborto dai pulpiti (non una predica intera contro l’aborto, ma solo la condanna di esso in ogni caso). Non è preoccupante questo silenzio, mentre ci sono tanti Evangelici in Italia che sono a favore dell’aborto? Avete visto cosa ha dichiarato la vicepresidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. In particolare notate queste sue parole: ‘Un figlio, una figlia sono iscritti nel desiderio della madre che disegna con la creatura concepita una relazione densa di significato e di vita. Quando questo non avviene, perché il concepimento è frutto di violenza o di frettolosa superficialità ed errore, la donna deve essere messa in grado di interrompere la gravidanza.’ Ora, non è normale aspettarsi una dichiarazione delle ADI in cui viene detto che essi non solo si dissociano da quella posizione della FCEI ma la condannano?

Ora, nell’attesa di una dichiarazione delle ADI contro l’aborto che non lasci nessun dubbio e nessuna perplessità, vorrei farvi notare una cosa, oltre questo assordante loro silenzio, che mi preoccupa.

La frase detta da Francesco Toppi in merito all’aborto ‘ma lasciamo sempre la responsabilità alla persona’ è molto simile a quest’altra sua frase detta in merito al divorzio poco dopo nella stessa intervista ‘Per quanto riguarda il divorzio, lasciamo la responsabilità ai singoli’. Cosa significa che lasciano la responsabilità ai singoli? Lo spiegherò citando parte di un articolo che tratta il tema del divorzio presente nel libro La Famiglia cristiana oggi e che premetto è ambiguo. Innanzi tutto questo articolo dice che ‘Gesù definì il divorzio contrario alla volontà e alla Parola di Dio’ (AA. VV., La Famiglia Cristiana Oggi, ADI-Media, Roma 2001, Seconda edizione, pag. 343), e poi che ‘è impedito ai coniugi cristiani di divorziare’ (Ibid., pag. 343) e poi ancora che a prescindere da elaborate interpretazioni delle parole di Gesù di Matteo 19:9 ‘rimane il fatto che ogni credente debba agire secondo la propria coscienza; confrontandosi costantemente e senza riserve con la Parola di Dio, assumendosi in proprio tutte le responsabilità spirituali, morali e sociali che comporta la decisione di un eventuale divorzio’ (Ibid., pag. 344). Dunque in queste parole si intravede il permesso di divorziare nel caso di fornicazione. Questo però non significa che il credente che divorzia per questa ragione abbia il diritto di passare a seconde nozze mentre l’altro coniuge è ancora in vita: no, questo non è ammesso perché il matrimonio ‘è un vincolo indissolubile al punto che soltanto la morte può scioglierlo’ (Ibid., pag. 37). Anche nel caso un credente sia sposato con un non credente, e il non credente si separa, il credente non ha il permesso di passare a seconde nozze, sempre per la medesima ragione. Ma tutto questo discorso non esclude che ci siano alcune eccezioni, ecco infatti cosa insegnano le ADI: ‘Riconosciuto che il divorzio e le seconde nozze mettono a disagio individui e famiglie, non onorando la causa di Cristo, come credenti nell’Evangelo è necessario scoraggiare ogni iniziativa rivolta a questi fini. Esistono, tuttavia, circostanze eccezionali nelle quali il credente può trovarsi, suo malgrado, nella necessità di passare a seconde nozze. In questi casi ognuno è chiamato ad assumersi in proprio ogni responsabilità davanti a Dio, senza coinvolgere in alcun modo ministri e comunità, affinché l’esistenza di tali casi non costituisca un precedente che possa menomare la testimonianza dell’Evangelo resa dalle chiese’ (Ibid., pag. 347). Questo significa che nella pratica le seconde nozze mentre l’altro coniuge è ancora in vita sono permesse in alcuni casi nelle ADI, solo che in questi casi, considerando che il matrimonio non costituisce atto sacramentale, ‘non si ritiene opportuno che la certificazione del matrimonio di divorziati sia effettuata nelle chiese ADI’ (Ibid.., pag. 347). Per chiarire questo concetto diciamo quanto segue; le ADI permettono che dei credenti che hanno divorziato prima di convertirsi al Signore, una volta convertiti, si possono sposare, (non nel locale di culto delle ADI ma in comune) perché il divorzio è avvenuto da non credenti. Viene insegnato che chi si converte quando era già divorziato deve rimanere nella situazione in cui era quando ha conosciuto il Signore e cercare di rimediare agli sbagli che hanno provocato il divorzio, si può adoperare pregando affinché l’armonia tra lui e la sua moglie ritorni, ma se ciò, per vari motivi personali, non è possibile, egli è libero di passare a seconde nozze ma questa volta con un credente, in municipio però e non nel locale di culto. Dunque, tradotto nella pratica, l’adulterio, perché di questo si tratta dato che il divorzio accompagnato dalle seconde nozze è adulterio agli occhi di Dio, in alcuni casi è tacitamente permesso nelle ADI. Ora, siccome Toppi ha detto che alla donna lasciano sempre la responsabilità, vuole forse dire che - usando le loro stesse parole sulle seconde nozze prese dal libro La famiglia cristiana oggi – pur non essendo favorevoli all’aborto ‘esistono tuttavia, circostanze eccezionali nelle quali una donna può trovarsi, suo malgrado, nella necessità di abortire. In questi casi la donna è chiamata ad assumersi in proprio ogni responsabilità davanti a Dio, senza coinvolgere in alcun modo ministri e comunità, affinché l’esistenza di tale caso non costituisca un precedente che possa menomare la testimonianza dell’Evangelo resa dalle chiese’? Confesso che la spiegazione di quelle parole sulla responsabilità lasciata alla donna che vuole abortire parrebbe questa. Aspetterò cosa diranno a tale riguardo.

 
 

Giacinto Butindaro

 

 

 

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