Eruzione
del Vesuvio del 79: il castigo di Dio contro Ercolano e Pompei |
Fratelli nel Signore, ho trovato sul sito
dell'Osservatorio Vesuviano (http://www.ov.ingv.it/index.phtml)
il seguente resoconto storico dell'eruzione
del Vesuvio nel 79 d.C, che ritengo molto interessante, in quanto mostra come
Dio castigò alcune città di quel tempo - precisamente Pompei, Ercolano e
Stabia - per la loro malvagità. Ve lo trasmetto per ricordarvi che il nostro
Dio "rende immediatamente a quelli che l’odiano ciò che si meritano,
distruggendoli; non differisce, ma rende immediatamente a chi l’odia ciò che
si merita" (Deuteronomio 7:10), e questo perchè Egli è giusto e "non
tiene il colpevole per innocente" (Nahum 1:3). |
Quindi nessuno dei tanti pastori evangelici
che parlano sia alle Chiese che al mondo solo dell'amore di Dio, e che
ritengono che Dio non è un vendicatore, vi seduca con vani ragionamenti. Ricordatevi infatti che la Scrittura afferma:
"Ecco, il giusto riceve la sua retribuzione sulla terra, quanto più
l’empio e il peccatore!" (Proverbi 11:31). Ma ricordatevi anche che la
stessa Scrittura afferma che è giunto il tempo in cui il giudicio ha da
cominciare dalla casa di Dio, cioè da noi (1 Pietro 4:17). |
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"Cercate l’Eterno, mentre lo si può
trovare; invocatelo, mentr’è vicino. Lasci l’empio la sua via, e l’uomo
iniquo i suoi pensieri: e si converta all’Eterno che avrà pietà di lui, e al
nostro Dio ch’è largo nel perdonare" (Isaia 55:6-7), "Com’è vero
ch’io vivo, dice il Signore, l’Eterno, io non mi compiaccio della morte
dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi,
convertitevi dalle vostre vie malvage! E perché morreste voi, o casa
d’Israele?" (Ezechiele 33:11). |
Chi ha orecchi da udire, oda. |
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Giacinto Butindaro |
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L'eruzione del 79 d.C è senza dubbio la più
nota eruzione del Vesuvio e forse la più nota eruzione vulcanica della
storia. Questa è stata descritta da Plinio il Giovane in due famose lettere a
Tacito, che costituiscono dei preziosi documenti per la vulcanologia (vedi le
"Testimonianze storiche"). Nelle lettere egli racconta della morte
dello zio, Plinio il Vecchio, partito da Miseno con una nave per portare
soccorso ad alcuni amici. Da qui la denominazione di eruzione pliniana per
questo tipo di fenomeno particolarmente violento e distruttivo. |
In epoca romana, all'inizio del primo
millennio, il Vesuvio non era considerato un vulcano attivo e alle sue
pendici sorgevano alcune fiorenti città, che si erano sviluppate grazie alla
bellezza e alla fertilità dei luoghi. Nel 62 d.C. l'area vesuviana fu colpita
da un forte terremoto, che provocò il crollo di molti edifici e produsse danni
anche a Nocera e a Napoli. All'epoca non fu ipotizzata alcuna relazione tra
il terremoto e la natura vulcanica dell'area. |
Il 24 agosto dell'anno 79 d.C. il Vesuvio
rientrò in attività dopo un periodo di quiete durato probabilmente circa otto
secoli, riversando sulle aree circostanti, in poco più di trenta ore, circa 4
Km3 di magma sotto forma di pomici e cenere. |
L'eruzione ebbe inizio intorno all'una del
pomeriggio del 24 agosto con l'apertura del condotto a seguito di una serie
di esplosioni derivanti dall'immediata volatizzazione dell'acqua della falda
superficiale venuta a contatto con il magma in risalita. Successivamente una
colonna di gas, ceneri, pomici e frammenti litici si sollevò per circa 15 km
al di sopra del vulcano. Questa fase dell'eruzione si protrasse fino
all'incirca alle otto del mattino successivo, e fu accompagnata da frequenti
terremoti. |
Approfittando nella notte di una apparente
pausa nell'attività eruttiva, molte persone fecero ritorno alle case che
erano state lasciate incustodite. Ma furono sorprese nella mattinata dalla
ripresa dell'attività durante la quale si verificò il collasso completo della
colonna eruttiva, che determinò la formazione di flussi piroclastici che
causarono la distruzione totale dell'area di Ercolano, Pompei e Stabia. |
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Nella parte terminale dell'eruzione,
avvenuta probabilmente nella tarda mattinata del 25 agosto, continuarono a
formarsi flussi piroclastici i cui depositi seppellirono definitivamente le
città circostanti, mentre una densa nube di cenere si disperdeva
nell'atmosfera fino a raggiungere Capo Miseno. |
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Testimonianze
storiche |
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Plinio
il Giovane,
nella prima lettera a Tacito,
descrive così l'inizio dell'eruzione e lo sviluppo della colonna eruttiva,
che egli, insieme allo zio, osserva da Miseno: |
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Era a
Miseno [Plinio il Vecchio] e, presente, governava la flotta. Il 24 agosto era
trascorsa appena un'ora dopo mezzogiorno e mia madre gli mostra una nuvola
che allora appariva, mai vista prima per grandezza e figura. [...] La nube si
levava, non sapevamo con certezza da quale monte, poiché guardavamo da
lontano; solo più tardi si ebbe la cognizione che il monte fu il Vesuvio. La
sua forma era simile ad un pino più che a qualsiasi altro albero. |
Come
da un tronco enorme la nube svettò nel cielo alto e si dilatava e quasi
metteva rami. Credo, perché prima un vigoroso soffio d'aria, intatto, la
spinse in su, poi, sminuito, l'abbandonò a se stessa o, anche perché il suo
peso la vinse, la nube si estenuava in un ampio ombrello: a tratti riluceva
d'immacolato biancore, a tratti appariva sporca, screziata di macchie secondo
il prevalere della cenere o della terra che aveva sollevato con sé. |
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Segue, nella lettera, il racconto degli
eventi che portarono alla morte di Plinio
il Vecchio. Questi, attratto dallo straordinario fenomeno, decide di
avvicinarsi, con una piccola imbarcazione, alla zona interessata. Nel
frattempo riceve un messaggio con un invocazione di aiuto da parte di amici (Rettina, moglie di Tascio) che si
trovano nell'area vesuviana. |
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Egli
cambia idea: all'ansia dello scienziato subentra lo spirito dell'eroe. Fa
scendere a mare le quadriremi, vi prende posto. Egli vuole portare soccorso
non solo a Rettina, ma a molti, perché la ridente contrada era frequentata. |
S'affretta
là donde altri fuggono e tiene dritta la rotta e il timone diritto verso il
pericolo, senza traccia di paura al punto che dettava e annotava tutte le
variazioni di quel male, tutte le figure che i suoi occhi avevano sorprese. |
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Plinio dirige le sue navi verso Torre del
Greco, ma non riuscendo a sbarcare, fa rotta su Stabia, dove si trova la
villa dell'amico Pomponiano: |
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Già
sulle navi la cenere cadeva, più calda e più fitta man mano che si
avvicinavano; già cadevano anche i pezzi di pomice e pietre annerite ed arse
e spezzettate dal fuoco; già, inatteso, un bassofondo e la riva, per la
rovina del Monte impedisce lo sbarco. Ebbe un momento di esitazione, se
dovesse tornare indietro e il pilota così lo consigliava, ma egli subito
disse: "la Fortuna aiuta i forti. Raggiungi Pomponiano!" |
[...] |
Lì
Pomponiano aveva fatto caricare su navi il bagaglio ed era determinato a
fuggire, se il vento contrario si fosse placato. Per mio zio, invece, il
vento soffia molto propizio ed egli riesce a sbarcare. Abbraccia il trepido
amico, lo consola, gli fa coraggio. |
[...] |
Frattanto
dal Monte Vesuvio rilucevano in più di un punto estesi focolai di fiamme ed
alte colonne di fuoco: il loro fulgore spiccava più chiaro sulle tenebre
della notte. |
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Quella notte Plinio, ospitato nella villa
dell'amico, si ritirò nel suo appartamento, e si addormentò. Ma... |
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[...]
il cortile da cui si accedeva all'appartamento, per cumulo di cenere e
lapilli, aveva tanto accresciuto il suo livello che egli, se avesse ancora
indugiato nella stanza, non sarebbe potuto uscirne più. Perciò fu svegliato.
Venne fuori e si ricongiunse a Pomponiano e gli altri che mai avevano ceduto
al sonno. |
Discutono
tra loro se sia interesse comune rimanere dentro l'abitazione o vagare
all'aperto. La casa, infatti, vacillava per frequenti e violente scosse di
terremoto, e, quasi divelta dalle sue fondamenta, pareva ondeggiare ora qui
ora là, e poi ricomporsi di nuovo in quiete. |
D'altronde,
all'aperto si temeva la caduta di lapilli, anche se lievi e corrosi. Tuttavia
si confrontarono i rischi e si scelse di uscire all'aperto. In lui pensiero
su pensiero prevalse, negli altri paura su paura. Mettono dei guanciali sul
capo e li legano fortemente con teli: in tal modo si difendevano dalla
pioggia di lapilli. |
Già
altrove era giorno, lì era notte: una notte più fitta e più nera di tutte le
notti. Tuttavia la rischiaravano molte bocche di fuoco e varie luci. |
Deliberarono
di raggiungere la spiaggia e di vedere dal punto più vicino possibile se
ormai il mare consentisse un tentativo di fuga. Ma il mare ancora grosso
continuava ad essere contrario. Lì egli buttò giù un telo e vi si sdraiò... |
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Plinio
il Vecchio,
probabilmente intossicato dai gas, viene colpito da un malore e, non potendo
continuare la fuga, viene abbandonato dai compagni. Il suo corpo sarà
ritrovato solo tre giorni più tardi. La lettera si conclude con una postilla: |
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Tutta
la mia narrazione è fondata sull'esperienza diretta e sulle notizie udite
immediatamente dopo la catastrofe, quando la memoria degli eventi è prossima
alla verità. Tu farai una selezione dei fatti più importanti, perché scrivere
una lettera non è lo stesso che scrivere una storia, come scrivere per un
amico non è lo stesso che scrivere per tutti. |
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Tacito si mostrò, invece,
molto interessato alla vicenda personale dell'amico e lo pregò di scrivergli
ancora, per fargli conoscere come egli visse, a Miseno, quei tragici eventi.
Così Plinio il Giovane scrisse la
seconda lettera, in cui è riportata la descrizione di intensi fenomeni che si
sarebbero verificati anche nell'area flegrea in occasione dell'eruzione del
79 d.C. Infatti, lui, sua madre e molti altri abitanti di Miseno
abbandonarono le abitazioni per cercare riparo nelle campagne circostanti. Egli
scrive: |
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Precedentemente,
per la durata di molti giorni, la terra aveva tremato senza però che ci
spaventassimo troppo, perché i terremoti sono un fenomeno consueto in
Campania. Ma quella notte, la terra tremò con particolare violenza e si ebbe
l'impressione che ogni cosa veniva non scossa, ma rivoltata sottosopra. |
[...] |
Già
il giorno era nato da un' ora e la luce era ancora incerta e quasi languiva.
Già le case intorno erano sconquassate. L'ambiente in cui ci trovavamo, pur
all'aperto, era tuttavia angusto e la paura di un crollo era forte, anzi
certa. |
Solo
allora decidemmo di abbandonare la città di Miseno. |
[...] |
Una
volta fuori del centro abitato, sostiamo. Molti spettacoli prodigiosi
vediamo, molte angosce patiamo. I carri che ci facemmo portare con noi, anche
se erano su un terreno assolutamente piano, sobbalzavano ora in una, ora in
un'altra direzione e, pur puntellati con sassi, non rimanevano fermi nel
medesimo punto. |
Inoltre
vedevamo il mare ritirarsi, quasi ricacciato dal terremoto. Senza dubbio, il
litorale si era allungato e sulle aride sabbie era rimasto al secco un gran
numero di pesci. |
[...] |
Dalla
parte orientale, un nembo nero e orrendo, squarciato da guizzi sinuosi e
balenanti di vapore infuocato, si apriva in lunghe figure di fiamme: queste fiamme
erano simili a folgori, anzi maggiori delle folgori. |
[...] |
Non
molto tempo dopo quel nembo discende sulle terre, copre la distesa del mare.
Avvolse Capri e la nascose, sottrasse al nostro sguardo il promontorio di
Miseno. |
[...] |
Rischiarò
un poco: non riappariva la luce del giorno, ma era un indizio che il fuoco
stava per avventarsi sopra di noi. Ma il fuoco, a dire il vero, si fermò
abbastanza lontano. Fu tenebra di nuovo: fu cenere di nuovo, fitta e pesante.
Noi ci alzavamo ripetutamente e ci scrollavamo di dosso la cenere. Altrimenti
ne saremmo stati coperti e il suo peso ci avrebbe anche soffocato. |
|
[...] |
Alla
fine quella tenebra diventò quasi fumo o nebbia e subito ritornò la luce del
giorno, rifulse anche il sole: un sole livido come suole essere quando si
eclissa. Dinanzi ai miei occhi spauriti tutto appariva mutato: c'era un manto
di cenere alta come di neve. |
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Questo video mostra i calchi
delle vittime di quel castigo divino