Confutazione della dottrina  

‘Le lingue più interpretazione corrispondono alla profezia’

 

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Confutazione della dottrina 'lingue + interpretazione = profezia'

 

 

Introduzione

 

Questa dottrina è insegnata quasi in tutte le chiese pentecostali sia in Italia che all’estero. Le ADI per esempio la insegnano, come pure la insegnano le Chiese ‘La Parola della Grazia’.

ADI. Myer Pearlman, nel suo libro Le Dottrine della Bibbia, ha affermato: ‘Le lingue più interpretazione corrispondono alla profezia’. (Myer Pearlman, Le dottrine della Bibbia, ADI-Media, terza ediz. Roma 1988, pag. 258) Su questa linea si è espresso anche Donald Gee, che era un pastore delle Assemblee di Dio britanniche, nel suo libro I doni dello Spirito Santo: ‘E’ chiaramente affermato dalla Parola che, quando i doni complementari delle lingue e dell’interpretazione delle lingue venivano esercitati nel giusto ordine in seno alla chiesa, equivalevano al dono di profezia (...); perciò, poiché le cose stanno così, è generalmente ammesso che questi due doni costituiscono uno dei tanti metodi con i quali lo Spirito Santo può fare udire la Sua voce nella Chiesa’. (Donald Gee, I doni dello Spirito Santo, Roma 1988, ADI-Media, pag. 71-72) Citiamo infine un passo tratto da Il Battesimo nello Spirito Santo; ‘Occorre a questo punto fare una distinzione tra il parlare in lingue, come segno del battesimo nello Spirito Santo e prezioso mezzo per il credente battezzato per adorare Dio nell’intimità, e fra quello che può chiamarsi in modo particolare il dono o carisma delle lingue, cioè la possibilità di trasmettere in una lingua diversa dall’usuale sotto la guida dello Spirito Santo, un messaggio di avvertimento, di esortazione, di consolazione, destinato alla comunità e che sarà interpretato da coloro che esercitano un altro carisma chiamato dono di interpretazione’. (AA. VV., Il Battesimo nello Spirito Santo, Roma 1987, ADI-Media, pag. 32).

Chiese ‘La Parola della Grazia’. Lirio Porrello, pastore della chiesa di Palermo, durante un insegnamento sul dono dell’interpretazione delle lingue, ha affermato: ‘Che cos’è il dono d’interpretazione delle lingue? …. Una manifestazione dello Spirito Santo per mezzo della quale una persona viene ispirata a spiegare il significato di un messaggio che viene dalla diversità di lingue …. Lo scopo dell’interpretazione è lo stesso della profezia perché diversità delle lingue più interpretazione è uguale a profezia. Scopo è quello di edificare, esortare e consolare’.

Coloro che la insegnano si appoggiano su queste parole dell’apostolo Paolo: “Or io ben vorrei che tutti parlaste in altre lingue; ma molto più che profetaste; chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno ch’egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione” (1 Corinzi 14:5), e: “Egli è scritto nella legge: Io parlerò a questo popolo per mezzo di gente d’al­tra lingua, e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi ascolteranno, dice il Signore” (1 Corinzi 14:21). In sostanza essi dicono: ‘Chi parla in altra lingua quando la Chiesa è radunata parla agli uomini e perciò l’interpretazione corrisponde ad un parlare rivolto agli uomini cioè ad una profe­zia’. Ma stanno le cose veramente così come essi dicono? E’ questo il significato delle suddette parole di Paolo ai Corinzi?

La risposta è no, e adesso lo dimostrerò mediante le Scritture.

 

 

Confutazione

 

Il parlare in altre lingue è diretto a Dio

 

L’apostolo Paolo ai Corinzi dice: “Procacciate la carità, non lasciando però di ricercare i doni spirituali, e principalmente il dono di profezia”; con queste parole l’apostolo esorta i santi a procacciare in primo luogo l’amore, ma senza trascurare di desiderare i doni spirituali perché anche quello di ricercare i doni spirituali è un ordine di Dio secondo che aveva lui stesso detto innanzi: “Ma desiderate ardentemente i doni maggiori” (1 Corinzi 12:31). Ma l’apostolo Paolo specifica che bisogna desiderare principalmente un dono in particolare, che è quello di profezia; lui dice infatti “principalmente il dono di profezia”, non ‘esclusivamente il dono di profezia’ perché di doni spirituali da desiderare ce ne sono altri che sono altresì utili per l’edificazione della Chiesa. A questo punto viene da domandarsi: ‘Ma perché Paolo, che era un ministro di Dio che poteva dire di parlare in altre lingue più di tutti i Corinzi, ha detto di ricer­care “principalmente il dono di profezia”? Perché ha dato la priorità al dono di profezia? La ragione lui la spiega subito dopo quando dice: “Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno l’intende, ma in ispirito proferisce misteri. Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di conso­lazione. Chi parla in altra lingua edifica se stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa” (1 Corinzi 14:2-4).

Come potete vedere, Paolo con queste parole comincia a spiegare perché si deve desiderare principalmente il dono di profezia e perché il dono di profezia è superiore al dono delle lingue; egli dice che è perché:

- Chi profetizza parla agli uomini, mentre chi parla in altra lingua parla a Dio e in ispirito proferisce misteri;

- Chi profetizza edifica la chiesa, mentre chi parla in altra lingua edifica se stesso.

Ma io voglio ora soffermarmi sull’espressione di Paolo secondo la quale chi parla in altra lingua non parla agli uomini ma parla a Dio.

Ora, se Paolo ha detto che chi parla in altra lingua non parla agli uomini ma a Dio vuole dire che il parlare in altra lingua è diretto a Dio. Ma che cosa dice a Dio chi parla in altra lingua? Paolo dice che in ispirito proferisce misteri.

Vediamo ora delle ulteriori prove scritturali secondo le quali il parlare in altra lingua è un parlare rivolto a Dio e non agli uomini:

●   Paolo più avanti dice: “Se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’in­telligenza” (1 Corinzi 14:14-15);

Come si può vedere molto bene, qui Paolo parla di pregare in altra lingua (o pregare con lo spirito) e siccome sappiamo che la preghiera è diretta a Dio e non agli uomini, questo conferma che il parlare in altra lingua è diretto a Dio. Per ciò che riguarda il pregare con lo spirito che è menzionato da Paolo anche agli Efesini quando dice: “Orando in ogni tempo, per lo Spirito, con ogni sorta di preghiere e di supplicazioni” (Efesini 6:18), e da Giuda nella sua epistola quando dice: “Ma voi, diletti, edificando voi stessi sulla vostra santissima fede, pregando mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio” (Giuda 20-21), vi ricordo che esso si riferisce all’intercessione che lo Spirito di Dio compie per i santi secondo che è scritto ai Romani: “Parimen­te ancora, lo Spirito sovviene alla nostra debolezza; perché noi non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e Colui che investiga i cuori conosce quale sia il sentimento dello Spirito, perché esso intercede per i santi secondo Iddio” (Romani 8:26-27). Quindi chi prega in altra lingua chiede a Dio mediante lo Spirito, di fare determina­te cose in favore nostro e dei santi sulla faccia della terra. E’ chiaro che siccome che l’intercessione la compie (in altra lin­gua) lo Spirito di Dio che conosce a fondo tutti i bisogni nostri (anche quelli che ignoriamo) e di tutti gli altri figliuoli di Dio, le cose che Egli domanda a Dio costituiscono dei misteri per noi, cioè delle cose occulte. Faccio un esempio: se lo Spirito di Dio sta intercedendo per dei fratelli da noi non conosciuti che si trovano in Africa in un particolare urgente bisogno, noi non sapremo mai che lo Spirito stava in quel momento facendo quella particolare intercessione; a meno che ci sia chi interpreti per lo Spirito quella intercessione dello Spirito Santo. In questo caso naturalmente i misteri verranno a conoscenza dei fratelli mediante appunto l’interpretazione del parlare in altra lingua.

● Paolo dice: “Salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l’intelligenza” (1 Corinzi 14:15); questo salmeggiare si riferisce al cantare a Dio dei cantici spirituali mediante lo Spirito. E’ implicito anche qui il fatto che esso si riferisce ad un parlare diretto a Dio e non agli uomini.

● Paolo dice pure: “Altrimenti, se tu benedici Iddio soltanto con lo spirito, come potrà colui che occupa il posto del semplice uditore dire ‘Amen’ al tuo rendimento di grazie, poiché non sa quel che tu dici? Quanto a te, certo, tu fai un bel ringraziamen­to; ma l’altro non è edificato” (1 Corinzi 14:16-17); notate sia l’espressione “se tu benedici Iddio soltanto con lo spirito”, e sia quella “tu fai un bel ringraziamento” perchè esse confermano che chi parla in altra lingua non parla agli uomini ma a Dio perché benedice Dio e lo ringrazia.

 

 

Il parlare in altre lingue a Pentecoste, a casa di Cornelio e ad Efeso

 

Vediamo ora di esaminare i casi che sono narrati nel libro degli atti  degli aposto­li in cui dei credenti parlarono in altre lingue, per vedere se vi è un qualche riferimento che possa conferma­re che il loro parlare in altre lingue era rivolto agli uomini e non a Dio.  

●   Il giorno della Pentecoste a Gerusalemme avvenne questo: “E tutti furono ripieni dello Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito dava loro d’esprimersi. Or in Gerusalemme si trovavano di soggiorno dei Giudei, uomini religio­si d’ogni nazione di sotto il cielo. Ed essendosi fatto quel suono, la moltitudine si radunò e fu confusa, perché ciascuno li udiva parlare nel suo proprio linguaggio. E tutti stupivano e si meravigliavano, dicendo: Ecco, tutti costoro che parlano non sono eglino Galilei? E com’è che li udiamo parlare ciascuno nel nostro proprio natio linguaggio? Noi Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia Cirenaica, e avventizi Romani, tanto Giudei che proseliti, Cretesi ed Arabi, li udiamo parlare delle cose grandi di Dio nelle nostre lingue” (Atti 2:4-11). In questa narrazione fatta da Luca su quello che avvenne il giorno della Pentecoste a Gerusalemme quando lo Spirito scese sui discepoli non c’è il minimo accenno ad un parlare rivolto agli uomini, e non c’è neppure un passo su cui ci si può appoggiare per stabilire che il loro parlare era rivolto agli uomini. Anzi dobbiamo dire che quei Giudei di quelle nazioni straniere quando li sentirono parlare nelle loro lingue non fecero per nulla riferimento ad un parlare rivolto direttamente a loro ma piutto­sto ad un parlare delle cose grandi di Dio che è un’altra cosa. Ora, io vi domando: ‘Ma Dio non avrebbe potuto parlare per lo Spirito suo per bocca di quei credenti ai Giudei stranieri che li ascoltavano dicendo loro nelle loro lingue che essi non erano ubriachi ma quello era l’adempimento della profezia di Gioele, e che Gesù era stato messo in croce  e risorto ed assunto in cielo? Cioè, non avrebbe potuto far sì che lo Spirito predicasse loro il Vangelo in altra lingua? Certo che avrebbe potuto, ma noi sappiamo che non lo fece, perché fu Pietro a dire loro queste cose nella lingua ebraica (e non in altre lingue) quando si levò assieme agli undici. Notate infatti, a conferma di ciò, che quei Giudei furono compun­ti nel cuore nel sentire la predicazione di Pietro e non nel sentire il parlare in lingue di quei Galilei. Nel caso del parla­re in lingue essi rimasero stupiti ma non compunti nel cuore.

● A casa di Cornelio, mentre Pietro predicava la Parola a Corne­lio ed a coloro che erano lì con lui avvenne che “lo Spirito Santo cadde su tutti coloro che udivano la Parola. E tutti i credenti circoncisi che erano venuti con Pietro, rimasero stupiti che il dono dello Spirito Santo fosse sparso anche sui Gentili; poiché li udivano parlare in altre lingue, e magnificare Iddio” (Atti 10:44-46). Anche in questo caso non si può dire che il parlare in lingue era rivolto agli uomini, perché non c’è il benché minimo accenno a ciò.

● Ad Efeso, quando lo Spirito Santo scese su quei circa dodici discepoli è scritto che “parlavano in altre lingue, e profetizza­vano” (Atti 19:6). Notate come il profetizzare è citato separatamente dal parlare in altre lingue appunto perché chi parla in altra lingua non sta profetizzando, cioè non sta parlando agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di conso­lazione, ma parla a Dio. Badate che non c’è scritto che essi parlavano in altre lingue e interpretavano, ma che parlavano sia in altre lingue a Dio (in ispirito quindi proferivano misteri) e sia nella lingua loro conosciuta agli uomini un linguaggio di edifi­cazione di esortazione e consolazione; tutto questo dunque esclude che quei credenti ‘profetizzavano interpretando’, o che ‘profetizza­vano in lingue’. Sarebbe veramente un controsenso dire di profe­tizzare interpretando un parlare rivolto a Dio in una lingua straniera. Sarebbe come dire una cosa per un altra; come se un fratello chiamato a tradurre un predicatore straniero quando questi prega Dio di fare intendere la sua Parola agli uditori dicesse che ha detto: ‘Non temete, perché il Signore Iddio vostro è con voi in mezzo alle vostre avversità”! Giudicate da voi stessi fratelli. Eppure questo è quello che avviene in seno a molte Chiese!

 

Spiegazione dei passi presi per sostenere che chi parla in altra lingua parla agli uomini

 

Veniamo ora alle parole di Paolo: “A meno che egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione” (1 Corinzi 14:5), perché su di esse si appoggiano coloro che sostengono che chi parla in altra lingua parla agli uomini, cioè profetizza. Ma prendiamole in tutto il loro contesto; Paolo dice: “Or io ben vorrei che tutti parlaste in altre lingue; ma molto più che profetaste; chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno che egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione” (1 Corinzi 14:5); e questo perché lui avrebbe voluto che tutti i Corinzi avessero il dono delle lingue pur sapendo che non tutti hanno questo dono (secondo che è scritto: “Parlano tutti in altre lingue?" – 1 Corinzi 12:30). Ma lui avrebbe voluto molto più che tutti i Corinzi profetassero perché mentre chi parla in altra lingua (se non viene interpretato) è di edificazione solo a se stesso, chi profetizza (dato che parla direttamente agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione) edifica la chiesa. Ma con questo Paolo non ha detto che il parlare in altra lingua non può contribuire ad edificare la Chiesa, perché esso edifica la Chiesa quando viene interpretato nella lingua compren­sibile a tutti. Perché risulta di edificazione alla chiesa il parlare in altra lingua con la relativa interpretazione? Perchè in questo caso il parlare in altra lingua non è un parlare in aria, che non essendo compreso non può essere di nessuna edifica­zione a chi l’ascolta; perchè l’interpretazione lo rende compren­sibile a tutti. Detto in altre parole; gli uditori, comprendendo le cose che lo Spirito ha domandato a Dio per Tizio o Caio, comprendendo il rendimento di grazie fatto a Dio mediante lo Spirito, comprendendo le parole del cantico spirituale rivolto a Dio dal fratello in altre lingue, vengono resi partecipi della conoscenza di questi misteri e possono così dire ‘Amen’, cioè, ‘così sia’, appunto perché hanno compreso il significato delle parole. E difatti questo è quello che è successo molte volte in molte chiese per il mondo intero; dei fratelli hanno pregato, reso grazie a Dio e cantato a Dio in altre lingue e mediante l’interpretazione la Chiesa è stata edificata. L’errore che fanno alcuni (l’ho fatto pure io inizialmente dopo che mi sono convertito) è quello di pensare che il parlare in altra lingua per essere di edificazione alla Chiesa deve essere per forza di cose un parlare rivolto direttamente alla chiesa, vale a dire una profezia. Ma non è così, perché lo ripeto, noi siamo edificati nel sentire l’interpretazione di un canto, di un rendimento di grazie o di una preghiera fatta in altra lingua nella stessa maniera in cui siamo edificati mediante una profezia perché veniamo a conoscenza di parole che lo Spirito Santo rivol­ge per bocca dei mortali a Dio. Ma ditemi: ‘Non sareste edificati nel sentire un’interpretazione di una preghiera fatta mediante lo Spirito mediante la quale qualcuno prega Dio di soccorrere in quel momento in una particolare distretta un certo fratello che voi conoscete che si trova in un paese lontano?’ E non sareste edificati poi nell’incontrare quel fratello nel sentirgli dire che in quel giorno e in quell’ora in cui lo Spirito pregò per lui a distanza di migliaia di chilometri egli aveva urgente bisogno di quella liberazione divina che poi si è compiuta?

E poi che dire se qualcuno intonasse un cantico per lo Spirito e voi mediante l’interpretazione veniste a conoscenza delle parole cantate a Dio? Non sareste voi edificati?

Questa è la ragione per cui non si può dare a quelle parole di Paolo l’interpretazione di costoro, perché il parlare in altra lingua a Dio interpretato è di edificazione alla Chiesa come lo è la profezia; ma innanzi tutto perché questa interpretazione contrasta le parole iniziali di Paolo: “Chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio” (1 Corinzi 14:2).

Se poi ci vengono a dire che chi parla in altra lingua quando la chiesa è radunata, non parla a Dio ma agli uomini e perciò anche l’interpretazione è un parlare agli uomini, mentre chi parla in altra lingua in privato parla a Dio e non agli uomini, allora noi rispondiamo che questa è un affermazione presuntuosa che non ha fondamento nella Scrittura perché Paolo non ha fatto per niente distinzione tra il parlare in altra lingua privato e quello pubblico, ma ha detto solo che chi parla in altra lingua non parla agli uomini ma a Dio. E inoltre facciamo notare che più avanti Paolo dice: “Altrimenti, se tu benedici Iddio soltanto con lo spirito, come potrà colui che occupa il posto del semplice uditore dire ‘Amen’ al tuo rendimento di grazie?" (1 Corinzi 14:16), facendo riferimento a un parlare in altra lingua fatto in presenza di uditori e non a un parlare in altra lingua fatto nella propria stanzetta da soli. E poi costoro leggano attentamente anche le altre parole di Paolo e si renderanno conto che ai Corinzi l’apostolo parlò del parlare in altre lingue fatto in pubblico quando la Chiesa si raduna.

●   Per quanto riguarda invece il passo: “Io parlerò a questo popolo per mezzo di gente d’altra lingua, e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi ascolteranno, dice il Signore” (1 Corinzi 14:21), bisogna dire che con queste parole Paolo ha inteso dire che il Signore avrebbe parlato al suo popolo d’Israele mediante il segno delle lingue, ma non che avrebbe fatto parlare direttamente agli Ebrei mediante il dono delle lingue, appunto perché il parlare in altre lingue è rivolto a Dio e non agli uomini.

Ricordatevi di quello che avvenne il giorno della Pentecoste. Non è forse vero che Dio parlò ai Giudei stranieri mediante dei Galilei? Non è forse vero che Dio fece meravigliare quei Giudei stranieri mediante quel segno del parlare in lingue quantunque il parlare in altre lingue non era rivolto direttamente a loro? Certo che è così, infatti le lingue, dice Paolo, “servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti” (1 Corinzi 14:22). Vedete? Dio mediante le lingue parlò ai Giudei radunatisi in quel giorno perché li fece meravigliare e stupire.

I segni parlano da loro stessi, ricordatevelo questo; non importa di che tipo essi siano, essi testimoniano della grandezza di Dio ma anche della presenza di Dio. A conferma di ciò vi sono le seguenti parole che Gesù disse ai Giudei: “Ma io ho una testimo­nianza maggiore di quella di Giovanni; perché le opere che il Padre mi ha dato a compiere, quelle opere stesse che io fo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Giovanni 5:36); e queste altre che Dio disse a Mosè quando lo mandò in Egitto con il potere di mutare il bastone in serpente e di colpire la sua mano di lebbra: “Se non ti crederanno e non daranno ascolto alla voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo segno..." (Esodo 4:8). Notate le espressioni “alla voce del primo segno”, “alla voce del secondo segno” perché esse confermano che i segni di Dio parlano. Quindi dato che anche quello delle lingue è uno dei segni di Dio per gli increduli, noi concludiamo che Dio parla agli increduli mediante le lingue, (ben inteso, mediante il segno delle lingue e non mediante i cosiddetti ‘messaggi in lingue’). E questo è esattamente quello che è avvenuto varie volte, perché ci sono stati degli Ebrei che Dio ha fatto meravigliare e stupire facendogli sentire dei Gentili cantare e pregare in lingua ebraica, e alcuni di loro sono stati tratti all’ubbi­dienza della fede dopo essere stati testimoni di quel segno portentoso, vale a dire dopo avere sentito dei Gentili pregare o cantare in lingua ebraica senza che questi conoscessero la lingua ebraica.

● Coloro che sostengono che il parlare in altra lingua è rivol­to agli uomini si appoggiano anche a queste altre parole di Paolo: “Infatti, fratelli, s’io venissi a voi parlando in altre lingue, che vi gioverei se la mia parola non vi recasse qualche rivela­zione, o qualche conoscenza, o qualche profezia, o qualche inse­gnamento?" (1 Corinzi 14:6); ma esaminando accuratamente anche queste parole ci si accorge che esse non significano che mediante il parlare in altre lingue viene data una profezia, o una rivelazione o qualche conoscenza o qualche insegnamento perché poco dopo Paolo enumera ancora la rivelazione e l’insegnamento ma lo fa separatamente dal parlare in altra lingua e dall’interpretazione, infatti dice: “Che dunque, fratelli? Quando vi radunate, avendo ciascuno di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o una interpretazione, facciasi ogni cosa per l’edificazione” (1 Corinzi 14:26). Quindi, come l’insegnamento e la rivelazione sono cose separate e distinte dal parlare in lingue e dall’interpre­tazione così lo è anche la profezia menzionata. Paolo fece quella domanda ai Corinzi per fargli capire che se lui che parlava in lingue più di tutti loro fosse andato da loro e avesse sempre e solo parlato in altre lingue (senza che vi fosse interpretazione) la sua parola non gli avrebbe giovato a nulla perché non gli avrebbe conferito nessuna rivelazione, nessun insegnamento, nessuna conoscenza e nessuna profezia; e non che se lui avesse parlato in lingue senza che vi fosse chi interpretasse i credenti non sarebbero stati edificati perché la profezia o la rivelazione o l’insegnamento o la conoscenza che c’erano nel parlare in altre lingue non avrebbero potuto essere resi intelligibili perché in tale caso si sarebbe contraddetto.

A questo punto è inevitabile che molti facciano la seguente domanda: ‘E allora che dire di tutte quelle esperienze dove ‘l’interpretazione’ data dopo il parlare in altre lingue è risul­tata una vera profezia perché quel parlare è servito di segno a dei credenti presenti nella riunione?’ Cominciamo col dire che non si possono prendere le esperienze per fare una dottrina, e che anche le esperienze per essere accettate devono essere in armonia con la Scrittura. Se noi dovessimo basarci sulle esperienze altrui o sul modo di fare di alcuni che ritengono di essere spirituali di certo ci corromperemmo; non voglio enumerare le così tante esperienze di molti che predicano l’Evangelo di cui molti hanno fatto una dottrina perché sarebbero troppe. Mi limiterò a dire che ci sono famosi predicatori che quando devono pregare sugli infermi non impongono loro le mani come la Scrittura insegna ma gli danno schiaffi e pugni, e persino li buttano a terra spingendoli; e tutto ciò viene fatto passare come ‘manifestazione della potenza di Dio’, e come agire in armonia con le vie di Dio! Perché? Perché alcuni affermano che ci sono i risultati, infatti gli ammalati colpiti da questi colpi e buttati a terra sono stati guariti dalla potenza di Dio! Ma la Scrittura insegna che l’imposizione delle mani è una dottrina, ma non che il dare pugni e schiaffi e lo spingere le persone per farle cadere all’indietro siano delle dottrine. Allora che fare­mo? Ci metteremo a colpire gli infermi e a non imporre più su loro le mani perché quel tal famoso predicatore ha affermato che dopo avere colpito l’ammalato ‘nel nome di Gesù’ l’ammalato è stato guarito. Io ritengo che queste persone che fanno codeste cose non sono da imitare perché violente e manesche. Se poi alcuno ritiene che le esperienze di costoro costituiscono dottrina allora sappia quel tale che questa dottrina non si fonda sulla Scrittura.

Ma veniamo specificatamente al parlare in altra lingua: è bene ricordare che nei primi anni del risveglio pentecostale che ci fu in America era opinione diffusa che il dono delle lingue fosse dato da Dio per andare a predicare l’Evangelo agli stranieri, e difatti non furono pochi coloro che dopo avere ricevuto lo Spirito Santo partirono per l’estero credendo che mediante le lingue ricevute avrebbero predicato l’Evangelo agli stranieri del posto dove andavano, senza così bisogno di studiare la lingua del posto!!! Questa dottrina inizialmente fu accettata da molti, ma poi piano piano fu abbandonata perché si manifestò come falsa. E badate che anche questa dottrina inizialmente aveva delle esperienze su cui si appoggiavano i suoi sostenitori. Dico questo per dimostrare ancora una volta che noi non possiamo accettare un certo modo di ragionare sulle cose di Dio solo in virtù di alcune testimonianze riferite da alcuni; “La tua parola è una lampada al mio piè ed una luce sul mio sentiero” (Salmo 119:105) dice il Salmista, perciò dobbiamo avere come punto di riferimento la Parola di Dio e non le espe­rienze degli uomini.

Noi riteniamo che il fatto che talvolta delle cosiddette ‘inter­pretazioni’ siano risultate delle vere profezie non è dovuto al fatto che esse erano le interpretazioni fedeli del parlare in lingue, ma che esse erano delle vere profezie e non l’interpreta­zione data al parlare in lingue. Sono state credute e fatte passare però agli occhi dei molti come delle interpretazioni; mentre non erano altro che delle profezie proferite per lo Spiri­to poco dopo che uno aveva terminato di parlare in altra lingua.

Quindi la conclusione a cui si giunge, dopo avere esaminato tutte queste Scritture, è che le lingue più l’interpretazione non fanno la profezia come molti sostengono, perchè il parlare in altra lingua è diretto a Dio e quindi, di conseguenza, anche l’inter­pretazione è un parlare diretto a Dio. Se fosse come dicono costoro, non si spiegherebbe la ragione per cui lo Spirito Santo prima parla alla chiesa in una lingua straniera tramite un cre­dente, e poi dà l’interpretazione del messaggio nella lingua conosciuta ai credenti, quando Dio, per parlare ai credenti si usa del dono della profezia. Se la profezia “serve di segno non per i non credenti, ma per i credenti” (1 Corinzi 14:22), come dice Paolo: che bisogno c’è di parlare alla Chiesa prima in altre lingue e poi di interpretare? Non è un controsenso? Perché mai ci dovrebbe essere prima un parlare in lingue alla chiesa e poi l’interpretazione del messaggio quando Dio per parlare direttamente alla Chiesa ha stabilito la profezia che viene proferita dallo Spirito senza l’ausilio del parlare in lingue? Ma poi che dire del fatto che se manca chi ha il dono dell’interpretazione delle lingue, verrà fatto credere ai credenti che Dio ha parlato alla chiesa in lingua straniera ma il messaggio è andato a vuoto per mancanza d’interpretazione? Ma allora, questo significherebbe che lo Spirito Santo parla alla chiesa in lingue straniere anche quando  sa  che non c’è nessuno che interpreterà il parlare in lingue? Ma non è un controsenso? Ecco perchè nascono le false interpretazio­ni delle lingue in assenza di chi ha veramente il dono dell’in­terpretazione delle lingue; perché molti, facendo credere che chi ha parlato in altre lingue ha parlato alla chiesa, non si possono permettere di fare rimanere non interpretato ‘il messaggio in lingue dello Spirito alla chiesa’. Loro pensano che Dio ha parla­to al popolo e perciò ci deve essere per forza di cose l’inter­pretazione. Se invece venisse insegnato che chi parla in altra lingua parla a Dio e non agli uomini, in assenza di chi interpre­ta, non nascerebbero questi pensieri nei cuori dei credenti, e di conseguenza i credenti non sarebbero spinti a dare false inter­pretazioni. Perché? Perché direbbero in cuore loro: ‘Il fratello ha parlato in lingue; è vero che io non ho capito quello che ha detto, ma ben l’ha capito Dio; è vero che non c’è chi interpreta; ma rimane il fatto che egli ha parlato a Dio e non alla chiesa’.

Ma consideriamo le parole di Paolo: “Pertanto le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti” (1 Corinzi 14:22). Non signi­ficano forse che se un non credente cinese entra in un locale di culto di una chiesa italiana e sente qualcuno pregare Dio o cantare Dio nella sua lingua, anche se non ci sarà chi interpreta, lui, essendo che l’ha capito, rimarrà meravigliato nel sentire un italiano pregare Dio o cantare a Dio nella lingua cinese senza avere mai studiato la lingua cinese? Quindi anche se la fratellanza non può capire quel parlare in altra lingua in cinese, perché non c’è chi interpreta, e perciò non è edificata, pure quel parlare in altra lingua serve di segno a quel non credente. Con questo non vogliamo dire che l’interpretazione non è utile, affatto; ma solo che siccome Dio si usa del parlare in altra lingua come segno per parlare agli increduli, anche se non c’è l’interpretazione delle lingue, le lingue hanno raggiunto lo stesso lo scopo fissato da Dio. Non è accaduto forse questo il giorno della Pentecoste a Gerusalemme? Non è detto che tra i discepoli v’era chi interpretasse cosa veniva detto in altra lingua (comunque non lo possiamo escludere), ma pure, mettiamo il caso che quel giorno nessuno dei discepoli intese quello che veniva detto in altre lingue dai credenti, rimane il fatto che quei Giudei stranieri compresero bene cosa essi dicevano perché parlavano nelle loro lingue natie; ecco in che maniera quel parlare in lingue servì di segno agli increduli.

Qualcuno allora dirà: ‘Ma quando manca chi interpreta allora che frutto produce il parlare in altra lingua se non viene compreso dalla Chiesa? Il frutto lo produce perché anche se la Chiesa non rimane edificata perché non intende quello che è stato detto, pure il parlare in altra lingua è giunto al cospetto di Dio. Dio lo ha inteso, sia che esso era una preghiera o un canto o un rendimento di grazie. Certo, rimane il fatto che per la Chiesa sarà un parlare in aria; ma non per Dio che conosce tutte le lingue.

Quindi, come le lingue servono di segno ai non credenti, anche se non c’è chi interpreta, perché essi capiscono ciò che è stato detto nella loro lingua; così, la profezia, serve di segno ai credenti, perché quel parlare che mette a nudo i pensieri del loro cuore è rivolto a loro nella loro lingua.

 

Le falsificazioni

 

Non posso parlare del parlare in altre lingue e della relativa interpretazione senza fare un accenno ai falsi parlare in lingue ed alle relative false interpretazioni che taluni proferiscono in seno alle chiese. I motivi? Apparire spirituali, o fare apparire la Chiesa di cui si è membri una chiesa spirituale.

Oggi, nella maggiore parte delle chiese pentecostali bisogna dire che c’è una falsificazione del dono delle lingue e del dono dell’interpretazione che è spaventosa. Per quanto riguarda il falso parlare in lingue non è altro che un insieme di vocali e consonanti che codesti falsificatori mettono assieme per profe­rirle quando la chiesa è radunata. Così facendo, agli occhi dei più essi sono considerati dei credenti spirituali perché ritenuti degli uomini pieni di Spirito Santo. Sempre in questo campo, ci sono credenti italiani che conoscendo delle lingue straniere per averle studiate a scuola o imparate nel paese straniero si metto­no a pregare in quelle lingue o a ripetere qualche parola stra­niera per lodare e ringraziare Iddio; e così anche loro si fanno passare come degli uomini ripieni di Spirito Santo. Come si fa a riconoscere che quel parlare in lingue o quel balbettio non è per lo Spirito Santo? Di certo c’è la maniera; perché ogni cosa falsa si può riconoscere perché è differente in qualche cosa dalla vera. Bene, una delle cose che è assente nel parlare di costoro che falsificano le lingue per fare credere di avere ricevuto lo Spirito Santo, è la potenza; e questo perché non avendo ricevuto il battesimo con lo Spirito Santo non hanno ricevuto potenza dall’alto. Poi nel loro parlare sono assenti i sospiri ineffabili di cui parla Paolo in relazione alle intercessioni fatte dallo Spirito Santo. Di certo coloro che agiscono per presunzione non fanno che ingannare loro stessi, e verrà il giorno che verranno svergognati da Dio stesso perché Dio è santo e giusto.

Ma come ho detto prima anche nel campo delle interpretazioni la falsificazione è assai diffusa. Qui si parla di una vera messa in scena; perché talvolta il falso parlatore in lingue si mette d’accordo con il falso inter­prete al fine di fare apparire tutto in armonia con le Scritture, e affinché non si dica che in quella comunità non c’é chi inter­preta. Quando invece chi parla ‘le sue lingue’ dà pure l’inter­pretazione allora il colpevole è solo uno e non due.

E poi alcuni di questi conduttori che danno false interpretazioni alla domanda di coloro che vogliono vederci chiaro: ‘Ma come fai a interpretare?’ Rispondono che loro quando sentono parlare in lingue, in base al problema o al bisogno che esiste nella chiesa deducono quale  siano lì per lì le parole adatte da rivolgere ai fratelli nel nome del Signore. Insomma per loro è una questione di deduzione e non di capacità soprannaturale la interpretazione delle lingue! E se qualcuno fa loro presente (come è successo) che non è giusto fare così, essi rispondono che l’importante è che l’interpretazione non contrasti la dottrina di Dio!!! Come potete vedere costoro hanno pure pronta la risposta da dare a quei credenti che fanno le loro lecite investigazioni. Non sono forse le loro risposte perverse una chiara prova che costoro non hanno il dono dell’interpretazione delle lingue, ma l’astuzia della volpe? E poi si mettono a insegnare sulle lingue e sull’in­terpretazione sbandierando, sempre per coprire la loro malizia, le parole: “A meno che egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione”. Ma quale edificazione può mai ricevere la Chiesa dalle false interpretazioni di costoro? E poi, se questi falsificano le interpretazioni perché mai dovremmo fidarci delle loro lingue?

Che dire? Ci si trova davanti a credenti che non temono Dio e che per vanagloria sono pronti ad ingannare loro stessi e il loro prossimo. Giudicate quello che dico fratelli. 

 
 

Giacinto Butindaro

 

 

 

 

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